Blog di guerriglia semiologica e resistenza culturale


"LA REALTA' E' UNA MALATTIA." Valentino Picchi


martedì 7 luglio 2020

STATUE DELLA LIBERTA'

Non tutte le statue sono dei monumenti e non tutti i monumenti sono statue (1). Una statua è tempio di fissità spesso antropomorfa, narrazione statica che intende significare pausa nello scorrere del racconto sociale: Colombo svetta immobile sul via vai di Barcellona come in diverse piazze italiane il traffico ruota intorno a Cavour o Garibaldi, metaforici compassi di cui rappresentano l’asse fisso. Ogni atto nei loro confronti – da un semplice sguardo all’ atto vandalico – viene inglobato da quella immobilità e da essa significato: la scena è determinata dalla presenza della statua.
L’atto insomma, financo l’abbattimento della statua stessa, è sempre conseguenza stabilita (2) prima e poi assorbita, integrata nell’ atto-statua che ne è causa e che trova il suo carattere di perpetuazione proprio nel suo essere un’azione unica e sempre uguale a se stessa, esaurisce cioè la sua portata semiotica nella ripetizione immobile di sé (3).
Il busto imbrattato, l’imperatore decapitato, l’ex dittatore rimosso dal piedistallo continuano in effetti a raccontare; il vuoto che eventualmente ne rimane non è mai un vuoto di significato: ciò che era prima, continua a dire qualcosa oggi; lo spazio prosegue nel racconto della sua forma e delle sue metamorfosi. Sarà comunque il gesto a esser giudicato, non la statua perché essa stessa fu un gesto o meglio, il passato di quel gesto che lei subisce oggi, lo significa e non importa che essa venga rimossa, modificata, sostituita o rimessa lì: raccontiamo la storia del gesto intero che inizia con la collocazione della statua e continua attraverso la somma dei comportamenti che essa provoca.
Dunque la scultura (4) rimane forma immobile nelle memorie anche di chi non l’ha mai vista ma viene a sapere che prima era lì, divenendo a volte monumento a guisa del bruco che diventa farfalla uscendo dal bozzolo dell’interpretazione.
Il monumento è dinamico e può, fra le varie forme, assumere anche quella di una statua. In tal caso esso parla in vece della statua, invece anche della semplice statua che esso fu prima di trasformarsi in monumento: la statua di un dittatore può persino diventare un “monumento alla libertà” sia per coerenza che per contraddizione (5), sia che venga eretta o che venga abbattuta, l’atto vandalico può addirittura fornire alla statua l’innesco semiotico per trasformarla in monumento.
Se la statua parla sempre al presente nell’ immediatezza della sua presenza e della di lei percezione, il monumento lo trascende attingendo al passato e proiettando la sua narrazione nel futuro.
Passiamo al terzo attore della scena: il gesto. Il gesto esiste e insiste in funzione della statua e del monumento. Esso ne è – come detto – una conseguenza narrativa qualunque ne sia la natura (dileggio, offesa, rito cerimoniale, sguardo ecc.) ma in misura diversa.
Il movimento è ciò che manca alla statua ma essa lo produce intorno a sé sviluppando narrazione ulteriore e dunque ampliando il suo significato (anche oltre le intenzioni di chi l’ha realizzata e di chi l’ha collocata): il significato del gesto scaturisce comunque da quello della statua, non lo cambia ma lo arricchisce. Diverso è il rapporto del gesto rispetto al monumento: qui può essere il gesto stesso a coprirne tutto il volume semiotico, cioè il gesto può essere esso stresso monumento in sé (6).
Riassumendo ed esemplificando: il gesto dello scrivere a macchina appartiene alla statua di Montanelli, il suo dileggio è porzione di tutti i gesti (comportamenti) che essa può provocare intorno a sé; la narrazione che ne scaturisce, la vicenda nel suo complesso, può trasformarla in monumento: un monumento “all’imbecillità” come al “rigore giornalistico”, alla “pedofilia” come alla “libertà di informazione” ecc. quella del monumento insomma è una narrativa mobile che si deposita nell’ osservatore in funzione dei tempi, quella della statua è una narrativa immobile che muove l’osservatore in funzione degli spazi.
La furia iconoclasta che stiamo osservando in questo periodo ha il senso di una ribellione contro le stelle (7): statue e sculture sparse in Occidente intrecciano una costellazione di senso che significa le azioni del presente come conseguenza collettiva di ciò che esse rappresentano nel “bene” e nel “male”, concetti labili questi che seguono le vicende umane come le maree quelle degli astri; sono a ben vedere l’ uniformità e la ripetitività di tali azioni – rispetto alla diversa gamma dei significati che l’oggetto può produrre – vale a dire l’ “uniformità di comportamento nella stessa unità di tempo”  a riflettere, a riprodurre – come in uno specchio – l’immobilità dell’oggetto che lo subisce: non un atteggiamento dinamico e capace di provocare pensiero nuovo e nuovi effetti, ma che ripiega la narrazione sempre indietro, allo stesso punto, incapace perciò di trasformarsi in monumento per depositarsi in uno sguardo realmente consapevole del passato e proiettato nel futuro, lo sguardo cioè di un uomo che viva la sua modernità come dimora di opportunità e non di rivendicazione, come una monumentale sfida di responsabilità da consegnare a se stesso e ai posteri.

HECHIZO  VP

NOTE

[1] Lo status da cui viene la statua ne afferma il suo “stare”, l’esser sta-bilita e fissa come le st-elle in cielo. Il monimentum è il racconto che da una statua, o da qualsiasi altro ente narrante (una persona, un gesto, un’opera d’arte ecc.) può scaturire: il monito sommato al “mentum” che può appunto essere il mezzo o l’atto.

[2] L’atto è sta-bilito dall’esser prima stabilita la sta-tua.

[3] Pensa al moto del mare: sempre diverso da se stesso in ogni istante nel suo perpetuo andare, ma sempre uguale a se stesso nel significare “il mare”.

[4] Scolpire è scrivere, ossia “incidere” che è da una radice “Skar” come suona la “cicatrice” inglese: se la ferita è il fatto inciso nel tempo, la cicatrice è la sua narrazione, scrittura, scultura.

[5] Un ipotetico busto di Adolf Hitler che possa aver rappresentato un monumento di libertà al suo tempo per coerenza, rappresenterebbe un monumento d’oppressione oggi per contraddizione.

[6] Pensa per esempio al gesto della "rovesciata" rappresentato, ogni anno, sulla copertina degli album Panini dei calciatori: un monumento al gesto atletico del calciatore che trova la sua fenomenologia nella ripetitività della pubblicazione.

[7] Nell’iconoclastia il KLASTES è “colui che rompe” l’EIKOS, il “simile”, l’icona che rimanda a un’idea cui si rifiuta di appartenere, di esser simili: sulla prima pietra scagliata dalla mano che si autodefinisce “senza peccato” vengono erette le statue delle peggiori innocenze: quelle autoriferite...