Blog di guerriglia semiologica e resistenza culturale


"LA REALTA' E' UNA MALATTIA." Valentino Picchi


martedì 26 novembre 2019

MASCHI CONTRO FEMMINE


Le giornate della Terra conoscono alba e tramonto: anche quella “contro la violenza sulle donne” ha conosciuto il suo, più difficilmente sarà la violenza a cessare purtroppo.
Se le parole sono fatti e viceversa, possiamo facilmente osservare come il megafono social o quello televisivo non creano il parlato in quanto non producono fatti poiché, altrimenti, il fatto auspicato (la cessazione della violenza sulle donne ad esempio) determinerebbe la fine di quello stesso parlare: finalmente il tramonto della “giornata contro la violenza sulle donne”.
Questo accade perché social, quotidiani e tv – i media in somma – amplificano e riproducono immagini e concetti (che sono fatti e dunque parola) sempre sul piano della conseguenza e mai su quello della causa, ma la fotocopia di una verità non è la verità.
Non ascoltare passivamente la parola “femminicidio” ma leggerla sul piano della causa ci permetterebbe di capire davvero chi, come e perché stiamo uccidendo: la voce è femmina, ascoltiamola (1).
La schiera dei possibili colpevoli si allargherebbe sorprendentemente rispetto alla sola risma del maschiaccio prevaricatore, tale perché più forte fisicamente o psicologicamente o socialmente: circostanze. Il “maschio” lo conosciamo: prevedibile e a volte patetico, spesso debole anzi quasi sempre… stupido? Stupido. E non per questo giustificato ovviamente. Ovviamente. D’altronde, dicevamo, il maschio è circostanza: sempre figlio e sempre eventualmente, madre mai, padre forse.
Chiediamo perciò alle donne notizia de La Donna che è causa Lei sì: quanto complicato, oggi, anche e proprio per loro offrircene una descrizione assoluta? L’indagine su La Donna trattata come verità rispetto a quella sulle donne trattate come la Sua fotocopia, è indagine sulla parola: il m odo in cui La donna è parlata (divenendo dunque fatto) anche dalle donne, il loro abitare (2) il discorso può fatalmente trasformare, nell’ indice delle fattispecie, il “femminicidio” in “concorso in omicidio”.
Ora, se stai traducendo da queste righe l’intento di indicare le donne come colpevoli o complici delle violenze che subiscono, stai semplicemente confondendo la parola “causa” con la parola “colpevolezza” ed è questa la tua vera colpa: la stessa che è nel vizio di confondere Donna e femmina, Uomo e maschio. L’indagine è conclusa.
Il relativismo linguistico che moltiplica immagini uguali a se stesse, senza soluzione, si risolve come industria: quella della comunicazione che, per la sua natura di industria, non può che tradurre corpi e concetti in immagini di corpi e concetti: prodotto. E’ questo mercato delle albe a farci complici di un solo enorme e sanguinoso fatto: l’assassinio del valore assoluto, del soggetto (femmina o maschio) che crea da sé il significato, quel valore è il fatto “individuo” (3).
Il crimine – vostro Onore – è  contro l’Uomo, ma se la verità come la voce è Donna, troverà in Lei l’unica possibilità di risorgere. Dunque a Lei l’ultima parola che poi è la prima per ogni uomo (4).


HECHIZO  VP

NOTE
[1] La radice sanscrita “DHA” per dha-yami: “io succhio”, si è evoluta latinamente in “fa”per “femina” col senso di “allattare” (felare), è fe-conda quando ha in sé l’ in-fa-nte: le leggi del linguaggio associano l’esser femmina al nutrimento umano, che la destina a nutrire l’uomo col cibo del significato.

[2] “HABITARE” come iterativo di “habere”: frequentare il possesso. E’ infatti della femmina  e solo suo il possesso del discorso sulla femminilità: padrona del vocabolario la "donna" è “domina” del linguaggio che la descrive, ne pretenda la giusta articolazione dettandosi da “lei” a “lemma” nel vocabolario della civiltà.

[3] “In-dividuo” poiché indivisibile: “NON DIVISUUS”, la natura integrale del concetto prima di ogni sua frammentazione (come quella in maschi e femmine).

[4] “Mamma”: la prima parola di senso compiuto che è la prima descrizione della realtà da parte dell’ uomo sia esso maschio o femmina. I muscoli della mandibola che favoriscono la suzione decidono il primo suono nella forma labiale: quella con cui il bambino battezza il mondo. Ma la parola “madre” non esaurisce la donna come fatto del mondo: non lo sono forse quelle che non sono madri? Infatti la donna è madre sempre, lo abbiamo detto: Madre del significato e, come tale, genitrice del significato umano, dunque anche di sé!

martedì 12 novembre 2019

NEL NOME DEI MURI


Ricorre in questi giorni l’anniversario di un crollo (1), quello del più famoso tra i muri, che diviene disputa attuale fra le stesse mani destre e sinistre che da sempre giocano a edificarne. No, il tempo e il suo racconto – che usiamo chiamare “storia” – non si sono fermati a quel 9 novembre di trenta anni fa: sulle macerie che avrebbero dovuto unire l’Est e l’Ovest si sono invece moltiplicati altri muri come quello tra il Nord e il Sud del mondo, o quello tra Occidente cristiano e Oriente musulmano in una sorta di bussola dell’odio e della diffidenza dove basterebbe seguire l’ago della forza e non quello della direzione politica per comprenderne il reale significato.
Il gioco di quelle mani è nel dare etichette (2) scadute a fatti nuovi, perché – se ogni istante è irripetibile – interpretare oggi un fatto di ieri rappresenta in sé un fatto nuovo, mentre “fascismo” e “comunismo” sono “quei” fatti di “quel” prima che “quel” muro ha trasformato in un prima e in un dopo.
Dare sovrannomi alla dittatura, scambiarseli vicendevolmente a colpi di dritto e rovescio, destra e sinistra è l’illusorio tennis delle nomenclature dove la rete è una blanda rappresentazione del muro ideologico che non crollerà mai: quello delle proprie calcificate convinzioni; ma a prescindere da qualsiasi nome, la dittatura è sempre pre-potenza, pre-varicazione, pre-forma: gioco, set, partita. Partito. Preso (3).
Al rosso moderno internazionalista però quel muro un po’ piaceva, il moderno nero dal canto suo lo chiama “rosso” ma ne vorrebbe suoi di nuovi, anche verdi perché no. Amanti dei colori, ambite a un sano daltonismo (4) e pensate: se un muro separa due dittature (capitalismo vs comunismo ad esempio), cosa separa in realtà se non i loro nomi e basta, il loro reciproco riflesso? E allora il nome è uno: dittatura, e quel muro non esiste affatto, esiste soltanto il suo nome.
Se quel muro dunque non esisteva, allora non è mai crollato o per lo meno si è trattato solo di cemento (5) e di “quel” cemento lì, non di quello che vi hanno ficcato nel cuore dove gli antichi – forse a ragione – ponevano la sede della memoria e dove, probabilmente, è il muro quello vero: non studiate la “storia” dunque, studiate il cuore dell’uomo.
Non saprei dire, oggi, fosse meglio il veder chiaro le due fronti dello stesso Giano almeno per decidere più agevolmente da quale parte re-stare, piuttosto che l’odierna ambizione di voler cancellare il muro di senso che divide il concetto di libertà da quello di libertarismo: dalla palude dei significati, è dimostrato, nasce proprio quella Stasi ideologica che sappiamo ove spesso conDuce.
Il muro di Berlino è ormai quello di tutti, di chi ne strumentalizza il ricordo soprattutto: dal progressista pluricromatico orfano dei “Che” ma soprattutto dei perChé, al nostalgico dal pollice verde e fratello d’Italia. E’ questo il muro dei nomi, i nomi delle idee e della memoria, quelli in cui ci avete obbligato a credere… ma basta così: il nuovissimo Adamo – cacciato dalla facile cartografia di un Eden fatto soltanto di Bene e di Male – non vuol più farsi raccontare la “storia”, vuole ricominciare a dar nome alle cose e persino a se stesso.
Il mio nome ad esempio è Peter, Peter Fechter.

HECHIZO  VP

NOTE

[1] Dal latino “con-rotulare” che è “girare”, “ruotare” come succede con la ruota della storia che produce  “corollari” di comodo agli attori della politica e alle loro speculazioni dialettiche: non è un caso che i “corollari” fossero delle coroncine di rame che i romani posavano sul capo degli attori dopo uno spettacolo.


[2] Qui nel senso di una micro-etica discorsiva, cioè una scienza morale parlata in piccolo, sgusciante e ripetitiva che si appiccica al comportamento (“Ethos”) creando modelli di narrazione (“fascista, “comunista” ecc.) vuoti di contenuto significante.


[3] “Partita” significa appunto “divisa”: è una porzione di qualcosa ma può rappresentare l’intera posta in gioco (“vincere la partita” è ottenere anche la parte dell’altro, dunque ricomporre l’intero della posta a favore di uno dei contendenti). Qui la posta in gioco è sempre il significato: vincere la partita del significato vuol dire poter imporre la narrazione, il suo dettato (dittatura è infatti sinonimo di dettatura).


[4] Il fisico inglese Dalton vedeva solo tre colori…


[5] Iterativo del caedere che è “fendere”, “dividere”, “spezzare”. Guardati intorno: cemento non è sempre divisione?