Blog di guerriglia semiologica e resistenza culturale


"LA REALTA' E' UNA MALATTIA." Valentino Picchi


sabato 26 dicembre 2020

SALUTARE

La stretta di mano, l'inchino, l'abbraccio, il bacio, sollevare il cappello come si usava... insomma salutarsi: cosa significa "salutarsi"(1)?
La visione dei corpi come veicolo di contagio ne sta rivoluzionando la dimensione a mero fatto di malia e sventura, la superstizione del secolo: il corpo come portatore sano di mortalità. 
Il movimento è già oroscopo: ancor prima del contatto, esso profetizza il comportamento parlando alla prossimità esistente fra le creature, ovunque esista insieme, fecondandola e significandola; così il cane intuisce, prima dell'epifania, l'arrivo della carezza o della percossa, come l'amante quello del bacio o del rifiuto, ovvero l'avventore il cenno che prelude al canonico e spesso impersonale "ciao" (2).
Ma restando fra gli uomini, il tempo - che poi è lo spazio -  intercorrente fra l'accorgersi dell'altro e la finalizzazione dell'incontro è permeato di quel necessario magnetismo che porterà i corpi a esprimerne il colore: amore, amicizia, rapporti formali ecc.
La forma di saluto è dunque la narrazione del rapporto esistente fra gli interlocutori, è storia in quanto manifestazione di una memoria personale: quella che l'uno conserva dell' altro. E' per esempio a distanza di tempo che due innamorati a lungo lontani trasformano in un abbraccio che la celebra, trasfigurandola, quella distanza attraverso il ricordo che ciascuno ha conservato dell'altro: il tempo diviene forma (e il tempo, in quanto spazio, è sempre forma), la cronaca di un'idea e il ricordo azione declinata al futuro, dunque il saluto ci proietta nel futuro inaugurando l'incontro alla guisa di un sipario sulla scena della micro-socialità: "Sono ancora io, mi riconosci?"- Atto Primo.
Le circostanze attuali hanno imposto l'ulteriore circostanza di una geometrizzazione largamente sponsorizzata delle per noi abituali forme di saluto: il gomito incrociato - ad oggi diffusamente involuto in un pugno-contro-pugno ancor più povero di senso - è il gesto incaricato di trascendere una ricca quantità di memorie, da quelle fra amici e parenti a quella fra colleghi o meri conoscenti.
La forma del saluto non è solo un reciproco trasferimento di memorie legato all'esperienza che si ha dell'altro ma uno scambio della propria esperienza di sé rispetto all'altro che ricaviamo anche a livello sensibile dall'intensità di una stretta di mano o di un abbraccio; imporsi un movimento inedito, privo della costruzione esperienziale che lo presuppone e che sterilizza le sfumature semiotiche del gesto, significa appiattire il contesto e gli attori sotto un unico orizzonte (come certi saluti alla folla esprimevano in Germania nella prima metà del secolo scorso...) senza soluzione di continuità e sempre uguale a se stesso in cui trovarci sempre "fuori posto" rispetto alla nostra personale esperienza del "posto". Pensiamo per esempio alla differenza di senso tra il cattolico "segno di pace" scambiato in una chiesa e una stretta di mano scambiata sugli spalti di uno stadio, è certamente il senso del gesto a qualificare il contesto attraverso la qualità appunto del gesto stesso trasformando il significato dei luoghi: comportarsi in chiesa come fossimo allo stadio susciterebbe le ire del presbitero che richiamerebbe al rispetto delle pieghe liturgiche legate al rito, mentre allo stadio come in chiesa si dà in effetti luogo a vere e proprie liturgie di massa (3).
Col "saluto unico", si tratti d'un incrocio di gomiti o della punta dei piedi, assistiamo allora a una mortificazione della nostra espressione che si materializza in una ri-dettatura dell'incontro, una mutilazione antropologica che sovrappone, sostituendolo, il concetto di contagio a quello di contatto: persone e luoghi diventano tutte e tutti uguali, fonti di pericolo. 
Salutarsi è voler trasmettere un messaggio di integrità e salute invece, un contagio buono attraverso lo scambio alfabetico di simboli e volontà. Il declino di una civiltà trova certo fra i suoi indici l'impoverimento delle possibilità comunicazionali: se la paura o le leggi - con la complicità della tecnologia - diverranno sede ultima di tale deserto espressivo (4), potremo uscirne solo attraverso una controrivoluzione del contatto almeno per ristabilire il diritto all'integrità del proprio messaggio a dispetto di nuovi e improvvisati conformismi dal valore indebitamente censorio, richiamando piuttosto alla validità istituente dell'esperienza personale come esperienza di salubrità (1) e consapevolezza di sé.
Il mio simbolico abbraccio va a te amico lettore e lettrice affinché la storia dei nostri incontri fra queste righe rappresenti un'utile, piccola pietra per la costruzione di orizzonti nuovi: auguro forme buone al tuo tempo per i tempi che verranno (5).

HECHIZO  VP

NOTE

[1] Forma intensiva del salvere latino: "stare sano", dire salve è infatti l'augurare salute e benessere, da qui il saluto che è della stessa radice di SAL-VUS ossia "integro", "sano" come evolutosi dal sanscrito SARV-A: salutarsi sarebbe un vicendevole scambio di buoni auspici, benessere e salubrità, di salute appunto.

[2] Dal veneziano s'ciao: "schiavo", inaugurando l'incontro come per offrirsi al servizio del prossimo.

[3] L'espressione "Dare luogo" identifica infatti un fornire il luogo, crearlo di fatto attraverso il comportamento.

[4] Dalla matrice indoeuropea SAR (legare insieme), il DE-SERERE è l'abbandonare, il lasciar vuoto e in balia del nulla opposto al SERERE che è invece il connettere, l'unire: lo ritroviamo nella SER-ratura che attende l'innesco della chiave come il saluto è chiave interpretativa che apre l'incontro, oppure nella forma del SER-rare la SAR-a-cine-sca che indica il movimento del chiudere un'attività commerciale... gesto tristemente tipico del de-SER-rto socio-economico che abbiamo inaugurato.

[5] Buon anno!