Blog di guerriglia semiologica e resistenza culturale


"LA REALTA' E' UNA MALATTIA." Valentino Picchi


domenica 13 settembre 2020

LA DISOBBEDIENZA DEL SOPRAVVISSUTO

"L'istante del sopravvivere è l'istante della potenza. il terrore suscitato dalla vista di un morto si risolve poi in soddisfazione, perché chi guarda non è lui stesso il morto. Il morto giace, il sopravvissuto gli sta ritto dinanzi, quasi si fosse combattuta una battaglia e il morto fosse stato ucciso dal sopravvissuto. Nell'atto di sopravvivere, l'uno è nemico dell'altro;  e ogni dolore è poca cosa se lo si confronta con questo elementare trionfo." (E.Canetti, "Massa e potere").
L'atto di nascere è già di per sé un primo atto di sopravvivenza, ma questo tipo di esperienza è altresì individuabile ancora più in là, come processo fondativo della nostra mitologia personale: lo spermatozoo che è l'unico - fra diverse centinaia di milioni - a raggiungere la cellula-uovo non è soltanto il primo ad arrivarci ma anche l'unico che sopravvive a questa sfida. Veniamo all'esperienza della vita insomma già come sopravvissuti alla vita stessa così come essa si presenta nel teatro biologico alla levata del sipario: il canovaccio di ogni commedia umana risulta proprio dal dipanarsi dell' intreccio fra l' ancestrale ed elementare esigenza di sopravvivere e il senso che abbiamo bisogno di attribuirle (1), un bisogno le cui sorti restano comunque legate all'alea della scommessa iniziale e della sua eco che rimbalza fino all'ultimo dei nostri istanti: quanto vivrò? (2) E' nello sgomento per questa assenza di controllo sulle nostre sorti che la vita sembra assumere le forme di una superstizione, macroscopico nelle diverse declinazioni dell'atteggiamento religioso e fideistico, fino alle piccole eredità apotropaiche del gesto scaramantico o del rito personale.
In quest'ottica antropologica la figura del sopravvissuto viene rivestita di un' aura magica: su di lui pesa una sorta di elezione i cui presupposti possono rinvenirsi in tutto e in niente: alimentazione, ricchezza, stile di vita, la semplice sorte chissà... sta di fatto che il sopravvivente è lì perché "neanche Dio lo vuole in cielo" o perché "ha venduto l'anima al diavolo" o ancora per "questione di DNA": sei-tale-e-quale-non-invecchi-ma-come-fai? (3)
Il Graal della giovinezza è ancora il simulacro della vita eterna, così come l' invidia del vecchio verso il giovane realizza il metaforico sprezzo della nota volpe verso l'invitante grappolo d'uva. Il vigore dei corpi e la freschezza delle menti, la vocazione all'assoluto e la fedeltà alle proprie scelte, la vibrante disponibilità verso il nuovo, lo sporgersi - incurante dei rischi della gravità - nella vertigine degli ideali e del desiderare, l'inclinazione alla disobbedienza come esplosione evolutiva di una volontà costruenda la quale esige il proprio turno di partecipazione alla vicenda umana: sono tutte fra le prerogative del "giovane" (4).
Non è però, dovrebbe sembrar ovvio, una questione di età: la fonte della giovinezza cui attingere è nella nostra ultima esperienza estrema di quasi-morte fisica o esistenziale cui siamo sopravvissuti, chi è giovane d' età ne esprime gli effetti in modo più immediato in quanto è minore la distanza cronologica da quella esperienza di morte che è il nascere ed è certo un vantaggio rispetto, per esempio, all' adulto sopravvissuto a un infarto o a un incidente: ma quale energia vitale può scaturire da persone che fanno esperienze del genere, e quale disobbedienza opporrebbero nei confronti di chi provasse a limitare gli orizzonti della loro "seconda occasione"? E quale miglior gioventù esprime il "vecchio" che pronuncia il suo "largo ai giovani!"? Abbiamo probabilmente tutti conosciuto dei giovani vecchi e dei vecchi giovanissimi. 
Forse che la nostra vita non è riducibile a una mera questione di sopravvivenza e misurabilità, allo sterile prolungamento di un coma esistenziale farmacologicamente sorretto dalla più potente delle medicine: la paura di morire. Quale peggior morte, in fondo, il viver male più a lungo?
Disobbediamo dunque alla vita come narrazione mortificante e ipocondriaca, imposta dalla voce del vecchio tremebondo - sepolto negli antri del nostro istinto di conservazione - il quale invidia solo il tempo disponibile e non anche l' entusiasmo anarchico dei nuovi arrivati (anzi lo teme...), costituiamoci "giovani" rinnovando il nostro ascolto, recuperando l'eco di quel primo strillo trionfale e doloroso con cui abbiamo dichiarato il nostro "Sì!" alla scommessa della vita e alla vita come la più improbabile delle scommesse, disobbediamo a quel medico antico che noi stessi abbiamo istituito al centro delle nostre possibilità percettive e che vuol venderci la cura per una malattia che non esiste: la morte.

HECHIZO  VP

NOTE

[1] Ereditiamo dai greci la distinzione tra Bìos, la vita intesa nella sua dimensione esistenziale, e Zoé ossia la vita animale puramente biologica. Un atteggiamento davvero razionale suggerirebbe il tendere alla ricerca di un equilibrio tra le due mentre, è fenomenologia del nostro tempo, il sapiens-sapiens pare concentrare le sue ossessioni sul prolungamento della Zoè anche laddove ciò vada a pregiudicare le istanze della Bìos (per esempio la salvaguardia preventiva della salute fisica a scapito della libertà personale...).

[2] Un ribaltamento dei termini è forse auspicabile sostituendo a quella del "quanto" l'ossessione del "come", il balzo da un' interpretazione elementare e quantitativa del vivere - frutto della deriva culturale consumistica di cui il nostro tempo è affetto - a una visione incentrata sula qualità: non "quanta" ma "quale" vita puoi vivere?

[3] Si risolve spesso con l'ironia e il motto di spirito che freudianamente esorcizza la longevità altrui, l'invidia verso certi noti vegliardi (dall' Andreotti "finalmente" scomparso alla regina Elisabetta d'Inghilterra), oppure ultimamente  la criminalizzazione sanitaria di un determinato territorio come la Sardegna che passa, nella narrazione mediale, da isola dei miracoli per il  record di ultracentenari e la qualità della vita, a novella Sodoma, terra di peste e movida (ma è infatti la narrazione dei vecchi...).

[4] Che non solo risuona nel nome del re delle divinità latine (Giove) ma attiene etimologicamente al sanscrito YUVAN: "colui che aiuta" ma anche "combatte, si oppone".