Blog di guerriglia semiologica e resistenza culturale


"LA REALTA' E' UNA MALATTIA." Valentino Picchi


venerdì 6 giugno 2025

FAHRENHEIT CLUB: "Altrimenti."

Altrimenti non si spiegherebbe perché - nonostante nessuno (o quasi) di coloro che compongono quella cosa che usate chiamare "popolo" voglia che continui lo sterminio di Gaza - il Governo continui passivamente a tollerarlo o a giustificarlo, e certi cazzoni a disquisire di "genocidio" o "non-genocidio" come a discutere di un diritto di precedenza per chi veniva da... destra.
Altrimenti non si spiegherebbe il sostegno delle armi all'Ucraina, nonostante il "popolo" di cui sopra (o quasi tutto) non lo voglia e neanche... ops... la Coastituzioneaah, sì quella, la "più bella del mondo" no?
Altrimenti non si sarebbe spiegata quella roba decisamente fascista del "green-pass" (a proposito, tu già dimentico eh? Amico progressaro berlinguo-togliattiano che invochi lo "jus soli" ma non volevi nessuno nel tuo fottuto baretto...) nonostante la Costituzione.
Altrimenti non si spiegherebbe tutta una fitta quantità di leggi, leggine, decreti, indirizzi politici "contra constitutionem" - sempre Lei sì, la "benigna pulcherrima" - che la storia repubblicana ci ha generosamente offerto da sinistra, destra, centro e centro un po' di qua e un po' di là, con la complicità di parlamenti e Presidenti firmatutto.
Altrimenti... ma altrimenti cosa? Altrimenti non si spiegherebbe perché se quella grande mistificazione che chiamiamo "democrazia" mi offrisse la seria possibilità di decidere qualcosa, io dovrei partecipare a queste cerimonie statistiche, i "referendum", utili soltanto all'utilità, prive di effetti reali riconducibili alla mia "X": "Sì" o "No", nessun "altrimenti" e vedi di rispondere bene!
Alternative? Sfumature? Nain, no, niet, nada: zitto e vota, Montag... fai pure il difficile? E guarda che è proprio la "democrazia" che tu sottovaluti, quella che ti sta consentendo di dire ciò che stai dicendo!
Oh ma grazie... guarda, me la segno questa, anzi me la tatuo come un numero... come si faceva una volta, ricordi? Memento.
Poi però tu liberami dalla tua retorica e vattene al seggio, specie se sei uno di quei vippetti che fanno gli appelli al voto sui social: non conti un cazzo amico, è lo spettacolo che ha scelto te non il contrario, pensa ai tuoi followers...
Vai a votare, non te lo sto consigliando, né chiedendo, né imponendo: te lo sto consentendo, che sono democratico davvero io... basta che non mi rompi i coglioni, altrimenti...
Altrimenti passa al Club, che ti racconto due cosette.


MONTAG 🔥

sabato 15 febbraio 2025

RITORNO ALLA PUPILLA


Il nostro esserci è anche la narrazione della nostra stessa esistenza. Il discorso sulla nostra vita, il flusso narrativo in cui siamo immersi - dal momento in cui diventiamo capaci di auto-osservarci e interpretarci - viene costantemente parodiato nel riflesso di una narrazione parallela: lo "show". Dalle ritualità più antiche, dal teatro greco fino alla televisione e ai social-media, l'uomo assiste alla messa in scena dei suoi infiniti mondi, proiettati sui costumi di cerimoniali religiosi, politici e dell' intrattenimento.

In quella che consideriamo la nostra modernità in particolare, il confine tra il reale e la sua rappresentazione è andato via via assottigliandosi fin quasi a scomparire: la vita ha come rinunciato a essere creatrice di sé e dunque dell'evento, bensì è l'evento a produrre vita, la narrazione non sgorga più dal soggetto ma dall'oggetto osservato e incaricato.

Il momento dello spettacolo diviene affermazione dell'apparenza che istituisce il vero, di cui il falso costituisce testata d'angolo: quanta storia, quanta legge, quanta vita è scaturita da quella partita di calcio, da quel telegiornale, da quel film, da quella scena passata sullo schermo?

Vige in te la convinzione di partecipare allo spettacolo, ma in realtà è lui che ti utilizza per contribuire alla produzione del vero, alla produzione di te per far vivere se stesso: è lui che ti partecipa.

Veniamo sì travolti da un fiume poderoso e strabordante rispetto alla nostra capacità di opporre il nostro vero sulla scena, giacché della scena abbiamo smarrito la via: essa passa dentro casa nostra e per le nostre mani, ci espropria del segreto senza chiedere il permesso, o con un "buonasera" al massimo.

Noi stessi diventiamo parti di quel falso, falso perché non ha niente a che fare con noi: ci facciamo sparpagliare, è l'uomo generalizzato, disintegrato come uno tra i diversi ingredienti nel frullatore della realtà, che si trova ricomposto in altro cibo.

Intoniamo e sbandieriamo opinioni non richieste fra gli estremi opposti della polarizzazione dialettica: sanremo sì-sanremo no, il calciatore si inginocchia contro il buh-buh-buh, il vestito del cantante distrae dalla sua voce, scorre il personaggio gender-fluid nella serie tv, la modella calva normalizza il cancro... quasi lo fa bello... ma già ci siamo dentro: non realizziamo la scena, è lei che ci realizza.

Di contro, l'uomo che risale al suo particolare, alla "reconquista" della sua mitologia personale - hasta siempre! - riesce a veder da fuori, emancipato dalla scena ricorda corpo a corpo in agorà, i suoi di lui, gli agoni fra narrazioni forti e narrazioni deboli, l'odore del sangue che è quello della storia.

Padrone del suo tempo, l'uomo senza spettacolo non subisce pause pubblicitarie e pop-up invasivi: il suo guardo non ha schermo e sponsor che lo garantisca, non teme censura che poi è censura sull'argomento imposto dallo spettacolo stesso.

Via dalla telecamera, tornare alla pupilla: realtà contro reality, la scena in strada piuttosto che la strada in scena da romanzo criminale ove il crimine è la dittatura della banalizzazione sia del male che del bene.

Fuori da ogni suggestione lo show che conta è solo il tuo: lo spettacolo sei tu, ed è anche gratis.


HECHIZO ♠ VP


 



sabato 17 agosto 2024

LA DELEGA DELLA PERCEZIONE

Il “caldo percepito”, da qualche anno viene adottato questo nuovo parametro per misurare il nostro rapporto col clima estivo.
Presupposto ineludibile del caldo “percepito” non può che essere il caldo “effettivo” – entrambi misurati in gradi Celsius – in una circolarità logica dove un fattore dà modo di esistere e attribuisce senso all’altro: non può esserci un caldo percepito che abbia un senso autonomo senza un caldo “ufficiale" di riferimento e, viceversa, senza l’introduzione di un caldo “nuovo” – com’era fino a qualche anno fa – nessuno si porrebbe il problema dell'esistenza di un caldo “assoluto” che sarebbe quello "vero" e unico per tutti.
Ma qual è il caldo che, sostanzialmente, più meriterebbe di esser preso in considerazione?
Il fatto che i bollettini meteo indichino una certa temperatura in un dato momento della giornata incidono sulla percezione che ognuno di noi può averne? Certo che sì, in base alle nostre condizioni ambientali e psico-fisiche: è dunque la nostra percezione soggettiva a stabilire il modo in cui, appunto, il nostro corpo e la nostra mente interpretano il valore di quel dato; d'altronde un chilometro da percorrere a piedi non è lo stesso chilometro per un ventenne e per un settantenne o ancora per un ventenne costretto su una sedia a rotelle: ognuno di loro – sebbene tutti ragionino in metri – percepirà quel chilometro in modo diverso e sarà quello il valore esperienziale assoluto, uno per ogni individuo.
Dal punto di vista contestuale poi, 35° gradi in spiaggia non sono gli stessi che su una strada asfaltata, 40° non hanno lo stesso significato se registrati in Norvegia o nel Sahara, cento metri in discesa sono diversi da cento metri in salita ecc.
Il campo di indagine non è dunque l’unità di misura o l’attributo che la qualifica, “reale” o “percepito” che sia, poiché entrambi in tal senso – cioè nel guscio dell’esperienza personale – non esistono.
Pretendere allora di attribuire un valore assoluto per tutti, come si pretende con la temperatura “percepita”, a un qualcosa che viene prodotto da una serie di concause soggettive e circostanziali – oltretutto basato su un presupposto contestualmente relativo come la temperatura “effettiva” – significa invadere il campo della percezione, e di percezioni ne esistono tante quanti sono gli uomini e le bestie… a meno che gli uomini, e non certo le bestie, abbiano realizzato l’uso di demandare a un’ acefala semantica parascientifica il compito di conferire attributi e valore a ciò che prima veniva qualificato dai sensi, dalla psiche e dall’esperienza di ognuno (certo è Agosto per tutti, e neanche per tutti, ma ognuno ha il "suo" Agosto): una sorta di delega delle proprie percezioni, effettiva quanto… affatto percepita.
Esiste poi una meteorologia dell'essere, chiamiamola "culturale", per cui tale delega percettiva assume ad oggetto altri elementi come il senso del pericolo e la sicurezza, il bello e il brutto, il giusto e l'ingiusto, l'inclusivo e l'esclusivo oppure, forte di questi tempi, il maschile e il femminile.
La percezione, strappata alla semantica personale, diviene così una semamtica di mercato soggetta alle sue oscillazioni e soprattutto alle sue previsioni: ad oggi il meteo della tangibilità ne prevede un'ampia desertificazione, prospettiva succulenta questa per gli avveduti costruttori del gusto e della misura, per una nuova e fruttuosa edificazione di ciò che noi saremo portati a riconoscere, abitare e percepire come "la nostra cultura".

HECHIZO ♠ VP

martedì 19 settembre 2023

LA PRASSI COME ATTIVITÀ SIMBOLICA

Ci troviamo costantemente in una fase di sbarco: quello presso le sacre sponde del "simbolico"; prendi la tua strana attualità, non la veramente tua ma quella che ti hanno somministrato: un virus simbolicamente (più che fattivamente) letale, dal quale proteggersi con misure simbolicamente (più che fattivamente) efficaci; una nazione, la Russia, simbolicamente (più che fattivamente) isolata affronta un simbolico (più che fattivo) default economico...
Il potere non dei simboli in sé, ma del simbolico in quanto attività, non risiede semplicemente nella produzione di significati quanto nella sua permeabilità, ossia la capacità di contaminare la prassi (come succede per esempio nelle religioni).
Il linguaggio in quanto generatore di realtà, da par suo, è sempre simbolico quali che siano le attualità: dalla svastica alla bandierina arcobaleno,  dai colori della squadra del cuore agli asterischi, la scritta "Ansa" piuttosto che "Lercio" su un articolo in internet fino ai segni più intimi e personali come tic verbali, tatuaggi, vestiario, gestualità ecc. insomma la matassa intera dei significanti da cui siamo costantemente avvolti - inclusi quelli che noi stessi produciamo - nel suo sbrogliarsi si risolve sempre in un Significato (sì, con la lettera simbolicamente maiuscola): a noi è la sfida di venirne a capo e poi decidere, stabilendo la forza della sua forza prima che - nel suo continuo stratificarsi - il simbolico non si consolidi in "cultura" e divenga perciò confondibile con "la verità" e la sua Forza (sì, con la lettera simbolicamente maiuscola).
È dunque battaglia "culturale" quella in cui alle verità simboliche piovuteci addosso da chissà dove, opponiamo la prassi a sua volta come simbolo riappropriandoci del nostro linguaggio - e traendoci così fuori dall'inganno che quelle "verità" ci siano piovute "da dentro" a mezzo di una elaborazione consapevole - o più precisamente dei meccanismi che presiedono al nostro ascolto per la sua capacità di produrre attività simbolica: avremo "la verità" (sì, con la lettera simbolicamente minuscola) come nemico, però avremo dalla nostra parte il più potente degli alleati: la Realtà (sì, con la lettera simbolicamente maiuscola).

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mercoledì 13 settembre 2023

LA LIBERTÀ DI MOVIMENTO NELLA CIVILTÀ DEI CODICI

 
Bar, ristoranti, teatri cinema, banche, stadi, aeroporti, tavoli, menù, biglietti vari: non vi sono più "spazi" che non siano mediati da qualche sorta di codice. 
Non esistono luoghi e specialmente corpi franchi dalla legalizzazione degli accessi, o meglio dalla trasformazione d'ogni movimento in un "accesso": ovunque si scansiona o si viene scansionati, con la facile previsione che un domani tal "ovunque" si allarghi a dismisura, fino all' impensabile. L'ubiquità è la forza della scansione: si rende immune da giudizio omologando e conformando il "dove" al "come" fino a renderlo impalpabile e, poco alla volta, accettato.
Intesa la libertà di movimento non più come libertà in uno spazio ma come spazio essa stessa e reso tale spazio iper-normato, esso emerge come ambiente segnico che nella sua versione simbolica diviene ambiente educativo, perfettamente adatto a un paradigma "correzionista".
Ciò che va davvero compreso è che esso, ad ogni occasione, costituisce la transustanziazione di un ostacolo dal piano del simbolico a quello fisico, una barriera, un punto d'accesso a cose e luoghi prima né chiusi né aperti in quanto ideale appendice del proprio potere significante: l'intenzione di raggiungerli. E basta.
Il ricongiungimento tra l'azione e la sua meta trova qualificazione attraverso una legittimazione esterna per cui la chiave del significato non è più nello spirito del gesto il quale si dissolve nel reticolo burocratico tessuto da un apparato impersonale che lo qualifica.
La chiave è l'uomo e in particolare la sua impronta: il prodotto più ambito.
Dove c'è un prodotto esiste un mercato, fatto di oggetti e soggetti coinvolti in qualche gioco di profitto dove le leggi di natura - articolo uno: "pesce grande mangia pesce piccolo" - vigono sublimate in leggi e normative che calano dal vertice della piramide metalimentare verso il basso, e vi arrivano come prodotto "offerto" e già confezionato piuttosto che come merce civile di cui si è naturali produttori "dal basso" e dunque padroni di stabilirne eventualmente il prezzo di scambio ma soprattutto la disponibilità.
La manifestazione di tale disponibilità non può che risiedere nella inalienabile facoltà di creare o ricreare lo spazio in quanto spazio proprio: dar forma alla propria "casa" come estensione del sé ed essa stessa dunque come codice di abitabilità del genio e dell'intenzione, per fondare le basi - espressive prima e civili poi -  di una ritrovata libertà non "di", non "del", ma "nel" movimento stesso: il potere di muoversi sùbito, non subìto.

HECHIZO  VP




giovedì 29 giugno 2023

"berlusconi"

A scanso di eventuali colpi di scena, Silvio Berlusconi è morto. Davvero.
'A livella di decurtisiana memoria non ha risparmiato neanche lui, come legge di natura impone a dispetto d'eccezioni "ad personam" cui lo stesso ci aveva politicamente abituato.
Non muore ancora invece "berlusconi" prodotto culturale, e in quanto tale destinato ancora a far parlare ma sì proprio nel modo culturale da esso stesso suscitato: ed ecco apparir vano e poco pertinente invocare quel "rispetto per i morti" per il Berlusconi patron-marito-figlio-amico-fidanzato-pigmalione-capo un rispetto pertinente a chi lo vive e visse in tal prossimità  quando invece l'argomento per i più non può esser che soltanto "berlusconi".
Par coerente allor che nella fisica solennità di un grande addio  di stato addirittura  quel rispetto e quegli onori assumano la forma e il suon di cori ("chi non salta comunista è!", "c'e solo un presidente!"), cornice popolare allo stuolo di variegata fauna vip e toccati a varia guisa dalla mano del Mida di Milano 3, d'altronde ogni creatura eredita nei tratti la fisiognomica del suo creatore: sì perché l' Italia di "berlusconi" non è solo e banalmente la che va a mignotte e se ne vanta o la dell'espediente a franca farla, quella del sei ricco e quindi bravo o quella del "vabè c'è chi ci pensa".
L'Italia del "berlusconi" è l' Italia del marketing, che infatti il nostro vedeva da gestire a mo' d'azienda (la sua), della politica intesa a compravendita (e contratti stipulati in teatri vespasiani...) quando piuttosto sarebbe solo vendita di fatti e poc' altro in cambio d'agognata croce sulla scheda elettorale.
Ecco, "berlusconi" ha comprato molto di noi ed è questa l' inattaccabile onestà di lui, perché il problema in fin dei conti riguarda solo noi, non certo Silvio Berlusconi paceallanimadilui... Siamo noi a dover far conto di quanto ci è rimasto ancor da vendere e piazzare sul mercato di politica e costume, di cultura e di progresso: basta accender la TV come s'accenda uno specchio, giacché intero o quasi t'ha comprato... quella è l'offerta, quello il metro, or che Silvio Berlusconi andato è, "berlusconi" sei tu: chi può venderti di più?

HECHIZO  VP




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martedì 5 ottobre 2021

TACHICRAZIA



Tutto del nostro agire e del nostro decidere ha la sua germinazione nel fertile terreno della riflessione: la realtà è uno specchio dal quale rimbalza il riflesso - guisa d'eco d'una voce - dell'azione umana e animale in genere, nascendo l'azione dalla provocazione di cui è figlia. Ed è sempre politico, ed è politica (1), il comportamento dell'esemplare uomo immerso negli abissi della socialità in cui egli scorge quelle provocazioni che poi porta a galla e affida al vento degli eventi - o all'eventualità del vento (2) - timonando il suo destino, provandoci almeno. 
Dai mari non fioriscono ma emergono le cose, non fa eccezione il Mar Politico la cui superficie è spesso, oltre che dai venti, scossa appunto da emergenze che impongono al fatal navigatore la piega delle vele.
Il tempo civile è proprio questo mare e l'emergenza (3) ne è costa che lo delimita: unico mare questo - in tempo di ghiacci sciolti e di maree che assottigliano le spiagge - in ritirata, ridotto a poco più di una pozzanghera a beneficio della terra emersa, quella terra che germina re-azioni, gesti dettati da ciò che emerge.
Dunque è di tempo che parliamo, sempre meno e poco disponibile quando il suo intercalare politico è scandito dall'urgenza, e perciò il suo riflesso è per forza immediato, istintivo: il tempo non ha spazio necessario per distendere il rifesso in riflessione, l'azione in articolazione.
"Tachicrazia"(4): il potere della velocità, governare un sistema d'uomini attraverso la dilatazione e il restringimento del tempo politico, dittatura del ritmo.
"Non abbiamo più tempo!", "Tutti dentro!", "Prima che sia troppo tardi!"... non c'è più mare da esplorare, spazio per la confutazione: ciò che la riflessione pone, l'emergenza impone; tanto vale farsi trasportare non più dalle onde prosciugate dell'incognito ma dalla salda mobilità di quella terra detta Panico, e vedere che succede con la mano pronta a scattare sul maniglione dell'uscita  di sicurezza, provando a gestire lo stress che ci viene imposto.
Riaffiorando però noi dalla marea dell'emergenza, tirandocene fuori appigliati alla razionale gravità di qualche luna, osservandola da sopra quella terra emersa scopriremo essere un'isola: l'orizzonte visto dalle isole moltiplica se stesso, il mare si riallarga, il tempo torna a dilatarsi e con esso il pensiero, l'idea, la riflessione, l'azione... perché più grande è la realtà - lo specchio - che siamo capaci di osservare, più ricco sarà il riflesso che ci restituirà, dunque più potente e diversificata l'azione ora non più soltanto effetto ma anche causa d'altro mare, di nuovo tempo cioè, che i padroni delle emergenze non potranno fare a meno di veder profilarsi come nuova emergenza, ma per loro... e sarà il loro tempo a ritirarsi.
Riconquista allora il tuo mare, che è il tuo tempo, padroneggia lo specchio che rifletta te proprio e non un "Io" prestato alla paura: sono le uscite di sicurezza a disegnare il perimetro del luogo in cui sei prigioniero e se la sicurezza è fuori, fai prima a non entrarci affatto... Privalo della tua civiltà e priverai questa delle tue paure: sii tu l'emergenza, non hai più tempo!

HECHIZO  VP

NOTE

[1] "Polis" è la dimensione ineludibile dell'uomo sociale pubblico e privato: tutto ciò che fai e che non fai,  ha un effetto politico.

[2] Il vento spira dal sanscrito "VA-TI" al participio passato del latino "venire": "ventus", il vento è un evento e viceversa, fatto che i-spira.

[3] "Mergere" è l'immergersi, tuffarsi: e-mergere è l'azione opposta. Ciò che la profondità dei mari e      dell'inconscio cela, si manifesta agli occhi della ragione solo quando non fa più parte della stessa tua  profondità, ne emerge appunto, ed è quella memoria ancestrale della tua finitezza che chiami paura.

[4] "Tachus" il greco per "veloce": imponendo più velocità alla situazione accorci il tempo delle decisioni e  
molto più di quanto possa inizialmente sembrare inaccettabile, diviene accettabile. Il tempo non è che 
lo spazio attraverso il quale si esprime la forma delle tue azioni, più questo si dilata e più esse divengono sinuose e        armoniche,   più si restringe più esse divengono dirette e sincopate. La febbre interpretata come simbolo di malattia piuttosto che sintomo di guarigione, regoliamo in molti con la Tachi-pirina affinché presto scompaia come simbolo piuttosto che interpretarla quale sintomo.