Quella
che stiamo vivendo è una strana prigionia fatta di cifre (1) e informazioni
còlte qua e là nel giardino capitale degli schermi che ormai tutti abbiamo la
possibilità di frequentare, anche chi non ha nemmeno il balcone. Le circostanze
ci inducono a riconsiderare quella che è la nostra esperienza del reale,
trasponendola sul piano della esperibilità: cosa stiamo percependo di ciò che
accade intorno alle nostre mura domestiche? Quale la natura di questo assedio
invisibile che sospende il nostro quotidiano relegandolo in un limbo fumoso di
riscoperte primarie e rassicurante modernità?
Possiamo
renderci conto di quanto ci separa dal danno effettivo, e soprattutto di cosa:
tra noi e la realtà del contagio (2) passa infatti una coltre di informazioni,
dati e speculazioni che rendono il nostro toccare con mano un mero toccar del
pensiero e dell’ipotesi almeno finché non ci tocchi davvero la disgraziata
sorte di contrarre in prima persona questo virus e dunque la vera esperienza di
lui.
Basta
allora varcare appena la soglia del nostro domicilio forzato ma non di quello
che chiamiamo casa, bensì della dimora che ci è stata costruita intorno fatta
di numeri e attesa dei numeri (3) avanzando un passo in quella coltre.
La
nostra esperienza e il nostro parlare sono sempre ammortizzati da una
narrazione che preesiste: quella che opera dentro noi stessi e quella che ci
danza intorno, è maieutica che precede il gesto confinandone l’efficacia e le
potenzialità creatrici nel regno delle conseguenze, i padroni della narrazione
sono in tal caso i padroni dei numeri… padroni del gesto dunque. Modificare
questa fotografia sconcertante della nostra attualità, riappropriarci
dell’azione, significherebbe allora modificarne i numeri (3), ma questo non è
ovviamente possibile: un dato è un dato, la cronaca è cronaca (4)… a meno che
non smettiamo di ricordare che i numeri sono parola, già come gli dèi.
Se
il mito fondativo di ogni civiltà nasce dalla parola dell’uomo, non sarà la
nostra ad esser narrata ai posteri attraverso la mitologia del numero ma dal
vocabolario con cui la esprimeremo, per questo dobbiamo opporre alle insegne
delle cifre le lance del significato, il giavellotto che scagliato s’ incagli
nell’enunciato molle degli slogan e delle statistiche producendo piani
ulteriori della discorsività: riparlare il sociale, interpretarne i vuoti,
smettere per primi di pensarci come numeri se non vogliamo essere trattati come
tali dunque non come una massa ma somma di intelligenze, non come quantità di
corpi destinati al macello della produttività ma pluralità di anime quando ri-usciti
da qui, riuscendo a disegnare un nuovo modello sociale.
L’uomo
di oggi è il dio di domani: così verrà parlato, non certo come un numero perché
il momento degli dèi è il momento zero e per fare un mondo veramente nuovo,
ogni volta, è inevitabile partire da zero (5).
Laciamoci dunque contagiare dal virus dell'azzeramento passando dalla mortificante discorsività del prigioniero a quella di una sfida di civiltà, Prometeo è in giro.
Laciamoci dunque contagiare dal virus dell'azzeramento passando dalla mortificante discorsività del prigioniero a quella di una sfida di civiltà, Prometeo è in giro.
HECHIZO ♠ VP
NOTE
[1] La cifra è dall’arabo
“cifr” che significa “vuoto” e
numericamente lo “zero”: è dire che un numero può esser riempito di qualsiasi
significato.
[2] Cum-tangere (“toccare insieme”): quel che
stiamo toccando della realtà è ciò che arriva dall’ in-formazione.
[3] Il “numerus” è
“parte assegnata” come “nomos” ossia legge: il numero è legge, indica e non
offre spazio di interpretabilità, è infatti segno di comando dal greco NEYO, il
“nume” associato al concetto di divinità, quella del misurabile cui ci
inchiniamo sudditi: disobbedire al numero è il nuovo atto laico.
[4] Il racconto del tempo CHRONOS che è la sua stessa costruzione in quanto dalla radice sanscrita KRA che è “fare”, “compiere”: dunque la cronaca, costruita dalla divinità del numero, crea il tempo come narrazione, quella che siamo abituati a chiamare “storia”.
[5] Lo zero nell’antica
tradizione ebraica corrisponde all’ ALEPH, la prima lettera dell’alfabeto che
per analogia è il principio delle cose, lo ritroviamo espresso nell’ ALFA nei
più antichi documenti della grecità; fatale la sua forma circolare per alcuni
etimologi richiamante allo ZER ebraico per significare, attenzione, “corona”…
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