Blog di guerriglia semiologica e resistenza culturale


"LA REALTA' E' UNA MALATTIA." Valentino Picchi


martedì 12 novembre 2019

NEL NOME DEI MURI


Ricorre in questi giorni l’anniversario di un crollo (1), quello del più famoso tra i muri, che diviene disputa attuale fra le stesse mani destre e sinistre che da sempre giocano a edificarne. No, il tempo e il suo racconto – che usiamo chiamare “storia” – non si sono fermati a quel 9 novembre di trenta anni fa: sulle macerie che avrebbero dovuto unire l’Est e l’Ovest si sono invece moltiplicati altri muri come quello tra il Nord e il Sud del mondo, o quello tra Occidente cristiano e Oriente musulmano in una sorta di bussola dell’odio e della diffidenza dove basterebbe seguire l’ago della forza e non quello della direzione politica per comprenderne il reale significato.
Il gioco di quelle mani è nel dare etichette (2) scadute a fatti nuovi, perché – se ogni istante è irripetibile – interpretare oggi un fatto di ieri rappresenta in sé un fatto nuovo, mentre “fascismo” e “comunismo” sono “quei” fatti di “quel” prima che “quel” muro ha trasformato in un prima e in un dopo.
Dare sovrannomi alla dittatura, scambiarseli vicendevolmente a colpi di dritto e rovescio, destra e sinistra è l’illusorio tennis delle nomenclature dove la rete è una blanda rappresentazione del muro ideologico che non crollerà mai: quello delle proprie calcificate convinzioni; ma a prescindere da qualsiasi nome, la dittatura è sempre pre-potenza, pre-varicazione, pre-forma: gioco, set, partita. Partito. Preso (3).
Al rosso moderno internazionalista però quel muro un po’ piaceva, il moderno nero dal canto suo lo chiama “rosso” ma ne vorrebbe suoi di nuovi, anche verdi perché no. Amanti dei colori, ambite a un sano daltonismo (4) e pensate: se un muro separa due dittature (capitalismo vs comunismo ad esempio), cosa separa in realtà se non i loro nomi e basta, il loro reciproco riflesso? E allora il nome è uno: dittatura, e quel muro non esiste affatto, esiste soltanto il suo nome.
Se quel muro dunque non esisteva, allora non è mai crollato o per lo meno si è trattato solo di cemento (5) e di “quel” cemento lì, non di quello che vi hanno ficcato nel cuore dove gli antichi – forse a ragione – ponevano la sede della memoria e dove, probabilmente, è il muro quello vero: non studiate la “storia” dunque, studiate il cuore dell’uomo.
Non saprei dire, oggi, fosse meglio il veder chiaro le due fronti dello stesso Giano almeno per decidere più agevolmente da quale parte re-stare, piuttosto che l’odierna ambizione di voler cancellare il muro di senso che divide il concetto di libertà da quello di libertarismo: dalla palude dei significati, è dimostrato, nasce proprio quella Stasi ideologica che sappiamo ove spesso conDuce.
Il muro di Berlino è ormai quello di tutti, di chi ne strumentalizza il ricordo soprattutto: dal progressista pluricromatico orfano dei “Che” ma soprattutto dei perChé, al nostalgico dal pollice verde e fratello d’Italia. E’ questo il muro dei nomi, i nomi delle idee e della memoria, quelli in cui ci avete obbligato a credere… ma basta così: il nuovissimo Adamo – cacciato dalla facile cartografia di un Eden fatto soltanto di Bene e di Male – non vuol più farsi raccontare la “storia”, vuole ricominciare a dar nome alle cose e persino a se stesso.
Il mio nome ad esempio è Peter, Peter Fechter.

HECHIZO  VP

NOTE

[1] Dal latino “con-rotulare” che è “girare”, “ruotare” come succede con la ruota della storia che produce  “corollari” di comodo agli attori della politica e alle loro speculazioni dialettiche: non è un caso che i “corollari” fossero delle coroncine di rame che i romani posavano sul capo degli attori dopo uno spettacolo.


[2] Qui nel senso di una micro-etica discorsiva, cioè una scienza morale parlata in piccolo, sgusciante e ripetitiva che si appiccica al comportamento (“Ethos”) creando modelli di narrazione (“fascista, “comunista” ecc.) vuoti di contenuto significante.


[3] “Partita” significa appunto “divisa”: è una porzione di qualcosa ma può rappresentare l’intera posta in gioco (“vincere la partita” è ottenere anche la parte dell’altro, dunque ricomporre l’intero della posta a favore di uno dei contendenti). Qui la posta in gioco è sempre il significato: vincere la partita del significato vuol dire poter imporre la narrazione, il suo dettato (dittatura è infatti sinonimo di dettatura).


[4] Il fisico inglese Dalton vedeva solo tre colori…


[5] Iterativo del caedere che è “fendere”, “dividere”, “spezzare”. Guardati intorno: cemento non è sempre divisione?

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