“Nessun
uomo è un’isola” scriveva nel ‘500 il poeta John Donne indicando come le sorti degli uni siano intimamente legate a quelle degli altri: la sintesi artistica
si rivela sempre efficace e pertinente anche nelle drammatiche circostanze che
stiamo vivendo attualmente come comunità [1].
Per
contrastare la ritmica del contagio [2] dal virus Covid 19 ci viene richiesto
un atteggiamento comportamentale che confliggerebbe con la nostra naturale attitudine
sociale permeata della vocazione al contatto [2], della condivisione degli
spazi e mai come ora delle sorti [3].
Di
fronte a un avversario estremamente dinamico come l’aria dobbiamo a quanto pare
rispondere con l’immobilità. La cosa risulterebbe alquanto frustrante e appunto
innaturale, a dimostrarlo le controverse reazioni di buona parte della
popolazione che, a ben vedere, stanno a dimostrare una certa dimestichezza con
l’isolamento [4], maggiore di quanto crediamo. Emerge infatti una notevole
difficoltà nel ragionare come insieme e soprattutto nel parlarci come insieme:
lo spazio mediale è stato sùbito un fragoroso scorrere dei consueti dualismi
simbolici nell’ordine cinese-italiano, anziano-giovane, nord-sud… sfociati
nell’estuario di una stagnazione dialettica che ha rapidamente svelato, qualora
ce ne fosse bisogno, la desolante realtà della nostra interpretazione atomistica del
sociale, l’abituale nostro percepirci come isole a dispetto del poeta.
Le
istanze [5] dunque hanno occupato quasi interamente lo spazio del parlabile, le
porte del dialogo civile ben serrate tranne che per una piccola fessura, come
unica possibilità di risposta, per l’appello istituzionalizzato #iorestoacasa, laddove lo slogan
scandito dall’alterazione segnica (#) rappresenta l’ultima risorsa della voce deputata al controllo che tenta l’autorevole prima della possibile deriva autoritaria.
Come il corpo umano intorno alla spina dorsale, ogni comunità si struttura intorno al suo linguaggio e prima ancora nei gangli della
sua meccanica: curarne il funzionamento significa affrontarne la vulnerabilità
come corpo, che è il riflesso sommario dei nostri singoli corpi. La forma più
naturale di antidoto va cercata dunque nel linguaggio stesso poiché il comportamento è
linguaggio [6]: affrontare lo stress dell’isolamento fisico è possibile e più semplice rovistando nell’isolamento
esistenziale che ci accomuna come segno dell'epoca, in un paradosso sociologico che abbiamo l’occasione
di sovvertire. Allora se diciamo la distanza come opportunità, l’opportunità
non si risolverà in semplice distanza cioè quella che spesso - nello stare fintamente insieme - mascheriamo con una falsa socialità, perché è piuttosto nell’ essere
insieme che essa produce le giuste misure, quelle buone per l’uomo in grado di spezzare l’illusione del tempo e trascendere le forme dello spazio.
HECHIZO ♠ VP
NOTE
[1] Comunità è proprio
l’opposto di immunità: se il com-munem è la con-obbligazione (l’obbligo che
lega i più), l’im-munem (non-obbligazione) è la sua negazione. Del MUNIS la
radice è nei suoni “ma”, “mu”, “mau” indicanti “misura” che per noi si concrerizza nel metro di
distanza tra i membri coobbligati al rispetto delle geometrie che la comunità ci impone per ostacolare il contagio.
[2] Nel cum-tangere, toccare insieme, incontriamo
l’occasione di ripensare la qualità del contatto per riqualificarne le
conseguenze: esistono in vero la febbre buona e le sciagurate guarigioni.
[3] Sorte è ciò che
infatti è annodato insieme (serrere):
la frontiera segnata dalla sorte non è forse comune a noi tutti? La nazione
Morte non chiude porti e non ha confini, ci accoglie tutti.
[4] L’in-sula è cosa ferma, immersa nel movimento dei flutti: nell’insieme è parte integrante del muovere, contribuisce a caratterizzarlo, invece smette d’essere visibile se vi partecipa… è l’equivoco eterno della falsa necessità di partecipazione alla massa per avvertirsi come individui quando invece si scompare.
[5] L’ in-stare è lo “star
sopra” o come lo “star dentro” la stanza delle proprie pretese, un isolamento
della volontà.
[6] il com-portamento è ciò che “portiamo insieme”, esiste infatti nel momento in cui diviene osservabile da un’alterità: sempre faccenda comune insomma. “Behaviour” per l’inglese ossia l’essere (“to be”) che si ha (“to have”): il modo d’essere che si possiede in quando “abito”, “abitudine” di cui il suono “have” costituisce famiglia… e ha ragione il Mister: ciò che sei è ciò che veramente hai e in cui veramente abiti.
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