Non
tutte le statue sono dei monumenti e non tutti i monumenti sono statue (1). Una
statua è tempio di fissità spesso antropomorfa, narrazione statica che intende
significare pausa nello scorrere del racconto sociale: Colombo svetta immobile
sul via vai di Barcellona come in diverse piazze italiane il traffico ruota
intorno a Cavour o Garibaldi, metaforici compassi di cui rappresentano l’asse
fisso. Ogni atto nei loro confronti – da un semplice sguardo all’ atto vandalico
– viene inglobato da quella immobilità e da essa significato: la scena è
determinata dalla presenza della statua.
L’atto
insomma, financo l’abbattimento della statua stessa, è sempre conseguenza
stabilita (2) prima e poi assorbita, integrata nell’ atto-statua che ne è causa
e che trova il suo carattere di perpetuazione proprio nel suo essere un’azione
unica e sempre uguale a se stessa, esaurisce cioè la sua portata semiotica
nella ripetizione immobile di sé (3).
Il
busto imbrattato, l’imperatore decapitato, l’ex dittatore rimosso dal
piedistallo continuano in effetti a raccontare; il vuoto che eventualmente ne
rimane non è mai un vuoto di significato: ciò che era prima, continua a dire
qualcosa oggi; lo spazio prosegue nel racconto della sua forma e delle sue
metamorfosi. Sarà comunque il gesto a esser giudicato, non la statua perché
essa stessa fu un gesto o meglio, il passato di quel gesto che lei subisce
oggi, lo significa e non importa che essa venga rimossa, modificata, sostituita
o rimessa lì: raccontiamo la storia del gesto intero che inizia con la
collocazione della statua e continua attraverso la somma dei comportamenti che essa
provoca.
Dunque
la scultura (4) rimane forma immobile nelle memorie anche di chi non l’ha mai
vista ma viene a sapere che prima era lì, divenendo a volte monumento a guisa
del bruco che diventa farfalla uscendo dal bozzolo dell’interpretazione.
Il
monumento è dinamico e può, fra le varie forme, assumere anche quella di una
statua. In tal caso esso parla in vece della statua, invece anche della
semplice statua che esso fu prima di trasformarsi in monumento: la statua di un
dittatore può persino diventare un “monumento alla libertà” sia per coerenza
che per contraddizione (5), sia che venga eretta o che venga abbattuta, l’atto
vandalico può addirittura fornire alla statua l’innesco semiotico per
trasformarla in monumento.
Se
la statua parla sempre al presente nell’ immediatezza della sua presenza e della
di lei percezione, il monumento lo trascende attingendo al passato e
proiettando la sua narrazione nel futuro.
Passiamo
al terzo attore della scena: il gesto. Il gesto esiste e insiste in funzione
della statua e del monumento. Esso ne è – come detto – una conseguenza
narrativa qualunque ne sia la natura (dileggio, offesa, rito cerimoniale,
sguardo ecc.) ma in misura diversa.
Il
movimento è ciò che manca alla statua ma essa lo produce intorno a sé
sviluppando narrazione ulteriore e dunque ampliando il suo significato (anche
oltre le intenzioni di chi l’ha realizzata e di chi l’ha collocata): il
significato del gesto scaturisce comunque da quello della statua, non lo cambia
ma lo arricchisce. Diverso è il rapporto del gesto rispetto al monumento: qui
può essere il gesto stesso a coprirne tutto il volume semiotico, cioè il gesto
può essere esso stresso monumento in sé (6).
Riassumendo
ed esemplificando: il gesto dello scrivere a macchina appartiene alla statua di
Montanelli, il suo dileggio è porzione di tutti i gesti (comportamenti) che
essa può provocare intorno a sé; la narrazione che ne scaturisce, la vicenda
nel suo complesso, può trasformarla in monumento: un monumento
“all’imbecillità” come al “rigore giornalistico”, alla “pedofilia” come alla
“libertà di informazione” ecc. quella del monumento insomma è una narrativa
mobile che si deposita nell’ osservatore in funzione dei tempi, quella della statua è una narrativa
immobile che muove l’osservatore in funzione degli spazi.
La
furia iconoclasta che stiamo osservando in questo periodo ha il senso di una
ribellione contro le stelle (7): statue e sculture sparse in Occidente
intrecciano una costellazione di senso che significa le azioni del presente
come conseguenza collettiva di ciò che esse rappresentano nel “bene” e nel
“male”, concetti labili questi che seguono le vicende umane come le maree
quelle degli astri; sono a ben vedere l’ uniformità e la ripetitività di tali
azioni – rispetto alla diversa gamma dei significati che l’oggetto può produrre
– vale a dire l’ “uniformità di comportamento nella stessa unità di tempo” a riflettere, a riprodurre – come in uno
specchio – l’immobilità dell’oggetto che lo subisce: non un atteggiamento
dinamico e capace di provocare pensiero nuovo e nuovi effetti, ma che ripiega
la narrazione sempre indietro, allo stesso punto, incapace perciò di
trasformarsi in monumento per depositarsi in uno sguardo realmente consapevole
del passato e proiettato nel futuro, lo sguardo cioè di un uomo che viva la sua
modernità come dimora di opportunità e non di rivendicazione, come una
monumentale sfida di responsabilità da consegnare a se stesso e ai posteri.
HECHIZO ♠ VP
NOTE
[1] Lo status da cui viene la statua ne afferma
il suo “stare”, l’esser sta-bilita e fissa come le st-elle in cielo. Il monimentum è il racconto che da una
statua, o da qualsiasi altro ente narrante (una persona, un gesto, un’opera
d’arte ecc.) può scaturire: il monito sommato al “mentum” che può appunto
essere il mezzo o l’atto.
[2] L’atto è sta-bilito
dall’esser prima stabilita la sta-tua.
[3] Pensa al moto del
mare: sempre diverso da se stesso in ogni istante nel suo perpetuo andare, ma
sempre uguale a se stesso nel significare “il mare”.
[4] Scolpire è
scrivere, ossia “incidere” che è da una radice “Skar” come suona la “cicatrice”
inglese: se la ferita è il fatto inciso nel tempo, la cicatrice è la sua
narrazione, scrittura, scultura.
[5] Un ipotetico busto
di Adolf Hitler che possa aver rappresentato un monumento di libertà al suo
tempo per coerenza, rappresenterebbe un monumento d’oppressione oggi per
contraddizione.
[6] Pensa per esempio
al gesto della "rovesciata" rappresentato, ogni anno, sulla copertina degli album Panini dei
calciatori: un monumento al gesto atletico del calciatore che trova la sua
fenomenologia nella ripetitività della pubblicazione.