La
vicenda Floyd ha attraversato come una cometa la scena del teatro mediale
dominata dal dibattito e dai contraccolpi socio-economici legati al Covid 19:
una curva a gomito che ha fatto sbandare la nostra attenzione lungo il circuito
della narrazione principale.
Dal
gomito siamo dunque passati al ginocchio (1), le parti del corpo che creano
angoli come quello che forma la bocca quando si apre al suono e al respiro, essi circolano attraverso la bio-scatola umana chiamata “corpo”, fatta d’angoli
come sono gli angoli di un ambiente simbolico che in natura raramente esiste, a
forma di cubo: le nostre case e le loro proiezioni mobili altrettanto
quadriformi (smartphone, pc, televisori ecc.) in cui nasce la scena stessa, e l’anagramma
in scena nasce non a caso mentre scrivo (2).
La
nostra attenzione (3) non è dunque libera, trova un percorso costretto fra gli
angoli e le asperità sagomate degli ambienti mediali che il teatro narrante
viene a occupare con le sue dicotomie vivacizzanti la dinamica del gusto, della
parte, attraverso l’appendersi a un estremo o all’ altro dello stesso canovaccio
(solitamente il destro o il sinistro): questo è in-trattenimento baby.
“Trattenuta
dentro” perciò è la nostra attenzione, fra gli angoli di una geometria
ingannevole che progressivamente non ne allarga il respiro bensì le si pianta
addosso come le fauci del carnivoro sul collo della preda, costringendola a
ridurre la gamma delle possibilità, quelle dei colori per esempio o della
verità: bianco o nero (4), vero o falso.
Non
muoiono più uomini ma “i vecchi” o “i neri”, non le politiche economiche
mietono vittime ma “i bianchi” o “il virus”: le ragioni vanno contro le ragioni
e mai contro il torto in sé, terzo litigante che approfitta della distrazione e
resta vivo, d’altronde ciò che è torto forma un angolo proprio come fa il ginocchio
del calciatore pronto al tiro, o quello del poliziotto sul collo del capitato
male, come il gomito con cui ci stiamo salutando da metapazienti vaganti nelle
corsie dell’ospedale semiotico che oggi sono le nostre strade, appesi a una
flebo invisibile che ci lega le mani e nascosti dietro una maschera a CO2 cui
chiediamo un paradossale ossigeno.
Strozzati
da un altro uomo, asfissiati da un tifo politico o sportivo (5), affogati da un
coronavirus: diversi e numerosi sono i modi di morire soffocati, ce lo
ricordiamo pure sventolando la bandierina dell’occlusione, le mascherine a
volte persino griffate o colorate (che curioso il vanto del respirare male…)
ovvero la pretesa di combattere il soffocamento virale col soffocamento
differenziato.
Ma
stiamo soffocando tutti è chiaro, proprio come J. Floyd o come purtroppo è
successo a molti negli ospedali quelli tristemente veri… forse una dimora senza
l’artificio degli angoli ma con le direzioni irregolari e indescritte della
natura come è, potrebbe restituire il respiro alla nostra attenzione, un nuovo
ossigeno che riallarghi il pneuma delle ragioni universali spezzando gli
steccati della narrazione imposta – che sono la geometria di quel ginocchio o di
quel virus che incombono sul nostro collo e la nostra gola – e trasformando la
genuflessione simbolica in riflessione concreta per ricondurre i colori al
Colore, le idea all’Idea, gli uomini all’Uomo…
Bene... respiri pure normalmente.
Bene... respiri pure normalmente.
HECHIZO ♠ VP
NOTE
[1] “Gonìa” è proprio l’angolo
dal greco, come il gomito da una radice “Kup” che porta al latino “cubitum” e
poi appunto al nostro “gomito”: la goniometria parlante del nostro corpo.
[2] In scena, la SKENE
greca, si dà vita a una scena: con la stessa parola si intende l’ambiente e l’azione
che vi si svolge, così la nostra risposta all’ azione inscenata entra a far
parte dell’ambiente scenico nel teatro (scena) della realtà.
[3] L’ attenzione è
voce del verbo “attendere”, l’ “ad-tendere” latino che è il tendere a qualcosa,
l’aspirare ossia un tirare il fiato (anche simbolico riguardo a un’ambizione) che è dinamica del respiro.
[4] Dove il nero è
negazione del colore e simbolicamente morte (nekros), il bianco ne è la somma:
di fatto bianco e nero non possono negarsi l’un l’altro ma devono essere
complementari per esistere, sia come parole che come concetti.
[5] Dal greco TYPHOS
che è il vapore, il fumo che obnubila, perciò anche associato alla malattia.
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