Non esistono luoghi e specialmente corpi franchi dalla legalizzazione degli accessi, o meglio dalla trasformazione d'ogni movimento in un "accesso": ovunque si scansiona o si viene scansionati, con la facile previsione che un domani tal "ovunque" si allarghi a dismisura, fino all' impensabile. L'ubiquità è la forza della scansione: si rende immune da giudizio omologando e conformando il "dove" al "come" fino a renderlo impalpabile e, poco alla volta, accettato.
Intesa la libertà di movimento non più come libertà in uno spazio ma come spazio essa stessa e reso tale spazio iper-normato, esso emerge come ambiente segnico che nella sua versione simbolica diviene ambiente educativo, perfettamente adatto a un paradigma "correzionista".
Ciò che va davvero compreso è che esso, ad ogni occasione, costituisce la transustanziazione di un ostacolo dal piano del simbolico a quello fisico, una barriera, un punto d'accesso a cose e luoghi prima né chiusi né aperti in quanto ideale appendice del proprio potere significante: l'intenzione di raggiungerli. E basta.
Il ricongiungimento tra l'azione e la sua meta trova qualificazione attraverso una legittimazione esterna per cui la chiave del significato non è più nello spirito del gesto il quale si dissolve nel reticolo burocratico tessuto da un apparato impersonale che lo qualifica.
La chiave è l'uomo e in particolare la sua impronta: il prodotto più ambito.
Dove c'è un prodotto esiste un mercato, fatto di oggetti e soggetti coinvolti in qualche gioco di profitto dove le leggi di natura - articolo uno: "pesce grande mangia pesce piccolo" - vigono sublimate in leggi e normative che calano dal vertice della piramide metalimentare verso il basso, e vi arrivano come prodotto "offerto" e già confezionato piuttosto che come merce civile di cui si è naturali produttori "dal basso" e dunque padroni di stabilirne eventualmente il prezzo di scambio ma soprattutto la disponibilità.
La manifestazione di tale disponibilità non può che risiedere nella inalienabile facoltà di creare o ricreare lo spazio in quanto spazio proprio: dar forma alla propria "casa" come estensione del sé ed essa stessa dunque come codice di abitabilità del genio e dell'intenzione, per fondare le basi - espressive prima e civili poi - di una ritrovata libertà non "di", non "del", ma "nel" movimento stesso: il potere di muoversi sùbito, non subìto.
HECHIZO ♠ VP
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