Blog di guerriglia semiologica e resistenza culturale


"LA REALTA' E' UNA MALATTIA." Valentino Picchi


sabato 15 febbraio 2025

RITORNO ALLA PUPILLA


Il nostro esserci è anche la narrazione della nostra stessa esistenza. Il discorso sulla nostra vita, il flusso narrativo in cui siamo immersi - dal momento in cui diventiamo capaci di auto-osservarci e interpretarci - viene costantemente parodiato nel riflesso di una narrazione parallela: lo "show". Dalle ritualità più antiche, dal teatro greco fino alla televisione e ai social-media, l'uomo assiste alla messa in scena dei suoi infiniti mondi, proiettati sui costumi di cerimoniali religiosi, politici e dell' intrattenimento.

In quella che consideriamo la nostra modernità in particolare, il confine tra il reale e la sua rappresentazione è andato via via assottigliandosi fin quasi a scomparire: la vita ha come rinunciato a essere creatrice di sé e dunque dell'evento, bensì è l'evento a produrre vita, la narrazione non sgorga più dal soggetto ma dall'oggetto osservato e incaricato.

Il momento dello spettacolo diviene affermazione dell'apparenza che istituisce il vero, di cui il falso costituisce testata d'angolo: quanta storia, quanta legge, quanta vita è scaturita da quella partita di calcio, da quel telegiornale, da quel film, da quella scena passata sullo schermo?

Vige in te la convinzione di partecipare allo spettacolo, ma in realtà è lui che ti utilizza per contribuire alla produzione del vero, alla produzione di te per far vivere se stesso: è lui che ti partecipa.

Veniamo sì travolti da un fiume poderoso e strabordante rispetto alla nostra capacità di opporre il nostro vero sulla scena, giacché della scena abbiamo smarrito la via: essa passa dentro casa nostra e per le nostre mani, ci espropria del segreto senza chiedere il permesso, o con un "buonasera" al massimo.

Noi stessi diventiamo parti di quel falso, falso perché non ha niente a che fare con noi: ci facciamo sparpagliare, è l'uomo generalizzato, disintegrato come uno tra i diversi ingredienti nel frullatore della realtà, che si trova ricomposto in altro cibo.

Intoniamo e sbandieriamo opinioni non richieste fra gli estremi opposti della polarizzazione dialettica: sanremo sì-sanremo no, il calciatore si inginocchia contro il buh-buh-buh, il vestito del cantante distrae dalla sua voce, scorre il personaggio gender-fluid nella serie tv, la modella calva normalizza il cancro... quasi lo fa bello... ma già ci siamo dentro: non realizziamo la scena, è lei che ci realizza.

Di contro, l'uomo che risale al suo particolare, alla "reconquista" della sua mitologia personale - hasta siempre! - riesce a veder da fuori, emancipato dalla scena ricorda corpo a corpo in agorà, i suoi di lui, gli agoni fra narrazioni forti e narrazioni deboli, l'odore del sangue che è quello della storia.

Padrone del suo tempo, l'uomo senza spettacolo non subisce pause pubblicitarie e pop-up invasivi: il suo guardo non ha schermo e sponsor che lo garantisca, non teme censura che poi è censura sull'argomento imposto dallo spettacolo stesso.

Via dalla telecamera, tornare alla pupilla: realtà contro reality, la scena in strada piuttosto che la strada in scena da romanzo criminale ove il crimine è la dittatura della banalizzazione sia del male che del bene.

Fuori da ogni suggestione lo show che conta è solo il tuo: lo spettacolo sei tu, ed è anche gratis.


HECHIZO ♠ VP


 



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